Evoluzione giurisprudenziale del danno non patromoniale per danno da lesioni o perdita del animale di affezione.

Esegesi costituzionalemente e civilmente orientata su norma sovranazionale

Secondo pacifico orientamento giurisprudenziale, deve essere risarcito il danno non patrimoniale per la perdita di un animale d’affezione trattandosi di un diritto rientrante nella categoria dei diritti fondamentali della persona, ex art.2 Cost., oltre che di una violazione del diritto di proprietà, considerata la sussistenza di un rapporto consolidato tra il proprietario e l’animale (vedasi Trib. Bari, 22/11/2011).

In una recente sentenza la Corte d’Appello di Roma (27/03/2015) si afferma che “nel caso di un cane da compagnia è fin troppo noto come le abitudini dell’animale influiscano sulle abitudini del padrone e come il legame che si instaura sia di una intensità particolare, sicché affermare che la sua perdita sia `futile´ e non integri la lesione di un interesse della persona alla conservazione della propria sfera relazionale-affettiva, costituzionalmente tutelata, non sembra più rispondente ad una lettura contemporanea delle abitudini sociali e dei relativi valori ”.

E’ pertanto evidente secondo i Giudici il pieno ed incontestabile riconoscimento del valore psico-affettivo della relazione uomo-animale.

Sul punto già la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 4493/2009, aveva ritenuto risarcibile nell’ambito del giudizio di equità il danno da lesioni dell’animale d’affezione, non opererebbe la limitazione al risarcimento del danno non patrimoniale prevista dall’art. 2059 c.c., che prevede la risarcibilità del danno non patrimoniale solo nei casi espressamente previsti dalla legge.

Anche il Tribunale di Bari si è pronunciato ritenendo che va riconosciuta la risarcibilità del danno non patrimoniale per la perdita di un cane trattandosi di violazione di un diritto rientrante nella categoria dei diritti fondamentali della persona (Trib. Bari, 22/11/2011) così come ritenuto anche dal Tribunale di Reggio Calabria il quale ha affermato che “gli animali d’affezione sono prevalentemente fonte di compagnia, considerati dai loro padroni come membri della famiglia, talora come qualcosa di simile ai bambini, così venendo ad acquisire una sorta di statussociale. (…) Invero, atteso che il rapporto con l’animale non può essere paragonato a quello con una cosa, trattandosi di una relazione con un essere vivente che dà e riceve affetto, deve concludersi che il rilievo attribuito alla dimensione degli affetti, qualificata come attività realizzatrice della persona, ai sensi del combinato disposto degli artt. 13 e 2 Cost., ben possa portare al riconoscimento ed al risarcimento del danno riconducibile alla perdita dell’animale d’affezione ogniqualvolta si alleghi e si provi in giudizio che il leso proprio attraverso la cura dell’animale veniva a realizzare la propria esistenza1” ( cfr. Trib. Reggio Calabria, 06/06/2013).

Orbene anche il Giudice di Pavia ha riconosciuto il danno patito dagli attori rilevando che “è indubbio che nella realtà sociale è negli ultimi tempi emerso un interesse particolare nei confronti degli animali di affezione, che ormai nell’evoluzione del costume sono visti come integrati nell’ambito familiare e parte del contesto affettivo” e che “è indubbio che, rispetto a dieci anni fa, si sia rafforzato nella visione della comunità il bisogno di tutela di un legame che è diventato più forte tra cane e padrone, cosicché non possa considerarsi come futile la perdita dell’animale e, in determinate condizioni, quando il il legame affettivo è particolarmente intenso così da far ritenere che la perdita vada a ledere la sfera emotivo- interiore del o dei padroni , il danno vada risarcito. Il riconoscimento del risarcimento non si pone in contrasto neppure con la sentenza della suprema Corte n. 14846 del 2007 perché con la predetta sentenza non si afferma che la perdita di un animale di affezione non possa mai dar luogo ad un danno esistenziale , ma semplicemente si sostiene che non si può presumere l’esistenza di tale danno , ma esso necessita di una prova specifica.”

Del resto il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da perdita di un animale d’affezione è stato ampiamente legittimato dalla Dichiarazione universale dei diritti degli animali, firmata a Parigi presso la sede dell’ UNESCO il 15/10/1978, dalla Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia sottoscritta a Strasburgo il 13/11/1987, dalla Legge 20/07/2004 n. 189, che ha introdotto nell’ordinamento la fattispecie penale del maltrattamento di animali, dal Trattato di Lisbona del 13/12/2007 che, nel modificare il Trattato sul funzionamento della Comunità Europea all’art. 13 stabilisce che “l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animaliin quanto esseri senzienti”.

Proprio in applicazione di tali principi la giurisprudenza ha ribadito il diritto al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della morte dell’animale d’affezione in quanto “una interpretazione evolutiva ed orientata delle norme vigenti, impone di ritenere che l’animalenon possa essere più collocato nell’area semantica concettuale delle “cose”, secondo l’impostazione tralaticia ma debba essere riconosciuto come “essere senziente”(Cfr. Trib. Milano, 13/07/2013).

1Trib. Bari, sez. Monopoli, 22/11/2011, laddove si sottolinea l’irragionevolezza di un sistema risarcitorio che prevedesse il ristoro per il valore economico del cane, ma non per il pregiudizio non patrimoniale costituito dalla perdita affettiva, laddove sia quest’ultima la maggiore utilità del “bene” oggetto della lesione